Meditazione sull’avvento

Carissimi,

desidero anzitutto augurarvi buon anno. Un nuovo anno, ricco di benedizioni, di pace, di buona salute, di quanto è gradito a Lui, al Signore che viene. Non mi sono sbagliato, poiché, con la solennità di Cristo Re dell’Universo, abbiamo salutato l’anno liturgico 2021 e ci siamo trovati nel 2022. In alcune delle nostre chiese, mutuando la festività statunitense, si è celebrata la c.d. “giornata del ringraziamento”, come segno di rendimento di grazie al Creatore per i frutti della terra e del lavoro umano.

Abbiamo, quindi, festeggiato quel Re che siede su un trono particolare, la Croce. Quel Re che, come scrive l’Evangelista, non è di questo mondo. Un Gesù che, con la paura di uomo in corpo, accetta il Calvario e quanto avevano detto di Lui i profeti secoli addietro. Compie ciò, perché Egli è vero. Difatti, Pilato, domandandoGli cosa fosse la verità, ha ritrovato il Suo silenzio completo. Un silenzio che pare intorpidirci.

Siamo un poco storditi e non addormentati! Siamo silenziosi, ma oranti! Siamo silenziosi, ma in azione! Il silenzio avvolge ogni attesa, anche quella della venuta di Cristo. Ma come? Non dobbiamo annunciare la Sua venuta? Ci hanno già pensato i profeti. Noi, in ogni tempo della Storia, dobbiamo guardare a Lui, o, meglio, a Betlemme. Il primo verbo che la Parola ci offre è “vigilare”. Non possiamo permetterci di dormire, nemmeno di sonnecchiare, ma, in muta attesa, riflettere su questo evento, un compleanno che si ripete ogni anno. Un compleanno che fa discutere, ma che è storicamente avvenuto. Pertanto, i dubbiosi non potranno credere all’incorruttibilità del corpo nel sepolcro, ma debbono accettare pacificamente quella nascita, censita per decreto di Cesare Augusto in quel piccolo capoluogo della Giudea. Speriamo di vigilare con buona attenzione! Nelle nostre parrocchie ed oratori, si è accesa la prima candela della corona d’Avvento, quella c.d. “della speranza” ovvero “del profeta”, in ossequio a quanti profetizzarono la venuta del Messia.

Il Messia nasce a Betlemme. Betlemme, località quasi ignota, piccola, piena zeppa di astronomi ed osservatori che attendono la stella, la cometa. Betlemme è il luogo del censimento, il centro della burocrazia, una delle sedi destinate a comunicare la popolazione delle terre orientali conquistate dai Romani. Betlemme era stata designata. San Giovanni Battista, cugino e precursore di Gesù, è l’ultimo ad annunciare il Messia. Questa Domenica si accende la seconda candela della corona d’Avvento: è detta “di Betlemme”, ma io la definirei “di San Giovanni”. Perché? Prendiamo un’immaginetta del Battista, una qualsiasi: regge una croce sulla quale vi è avvolto un cartiglio. Quel cartiglio riassume e simboleggia la Parola che ha preceduto Colui che ha preso su di Sé la croce per noi. È un po’ come se il figlio di Zaccaria ed Elisabetta, sia pur muto nell’immagine, ripetesse ancora a noi nei primi decenni del Duemila: “Preparate le vie del Signore! Raddrizzate i Suoi sentieri!”.

Terza Domenica di Avvento. Continuiamo il Vangelo di San Luca in questo nuovo anno “C”. Domenica “Gaudete”, Domenica della gioia, anticamera della Sacra Letizia, quella del Natale del Signore. Protagonista di questa festa non è il Cristo, ma, ancora una volta, Suo cugino Giovanni. Giovanni il battezzatore ovvero il battista. È colui che viene interrogato, visto con sospetto, con un pizzico di curiosità, mista a scaramanzia. Sembra sentire quegli ebrei, anche osservanti, sulle rive del Giordano: “Andiamo da Giovanni a farci battezzare! Stai a vedere che è lui il Messia… Non si sa mai”. In realtà, San Giovanni parla di un Altro e di un altro battesimo. L’Altro è un battista cui neppure San Giovanni è degno di sciogliere i legacci dei sandali: il Suo battesimo non è di acqua di fiume, ma di Spirito Santo e fuoco. Parole inizialmente incomprensibili, parole fitte di mistero, parole che segnano un’attesa. Un’attesa che nessuno sa, ma che tutti vivono. La viviamo anche noi, vigilando, preparandoci, attendendoLo. E mentre aspettiamo, ci accingiamo ad accendere la terza candela della corona del tempo di Avvento, quella che la tradizione chiama “candela della gioia”. Sì, della gioia! Dobbiamo essere lieti, perché, pur senza saperlo, sta per arrivare un grande dono, un segno visibile, qualcosa -o meglio, Qualcuno- che sta per stravolgere le nostre vite.

Ultima Domenica di Avvento. Le acque di Maria, proclamata dal Beato Pio IX “Immacolata”, stanno per rompersi. Giuseppe, uomo buono, non l’ha ripudiata, ma ha accolto anch’egli, a scatola chiusa, la volontà del Padre. Vorrei soffermarmi alcuni istanti su San Giuseppe. L’operaio, il lavoratore, l’uomo di poche parole, ma di tante azioni, quello che adopera uno scudo robusto contro il chiacchiericcio di chi gli dà del “cornuto” o del “minchione”. Lo scudo del giusto Giuseppe è il silenzio: egli è buono, ma non minchione. È semplice, ma non è un sempliciotto. È un mite, un timorato di Dio. E Questi lo elegge custode del Suo Figliolo, di Sé stesso fatto uomo per gli uomini. Perdonate questa digressione su Giuseppe, ma vorrei che qualcosa dell’Anno speciale a lui dedicato da Papa Francesco rendesse più significative questi miei poveri pensieri che offro in preparazione al presepe che stiamo per progettare anche nei nostri cuori, induriti dal peccato, ma addolciti da quella sete di Grazia. Ho voluto spendere un pensiero su Giuseppe della Casa di Davide, perché San Luca evangelista pure in questa Domenica parla d’altro. Parla di Maria, della visita di Maria ad Elisabetta, di quell’incontro tra due cugine in dolce attesa, di quell’incontro tra due feti, quello di Giovanni e quello di Gesù. E Giovanni, anche in pancia, calcia di gioia! Questa Domenica ricapitola il vangelo della festa dell’Immacolata, ribadisce il “fiat” di Maria alla richiesta dell’Arcangelo Gabriele. Non è un caso che la candela della Corona d’Avvento, sia quella degli Angeli. Ormai tutti bramano questa venuta: le schiere del Cielo si uniscono alla Terra, chiamando non i potenti, bensì i semplici; non interpellano i ricchi, bensì i poveri, i pastori. E Cristo sarà Pastore ed Agnello contemporaneamente; sarà custodito e custode; Gesù è l’amato!

Sì, è l’amato! Ricapitoliamo i tempi verbali dell’Avvento: vigilare, preparare, attendere, desiderare con gioia. Se volessi adoperare un unico tempo verbale sarebbe “amare”. Nell’attendere il fidanzato o la propria bella, che si fa? Si guarda il tempo che impiega a raggiungerci ovvero si vigila; ci si prepara al meglio, sfoggiando un bell’abito, ornando il viso con un sorriso; si attende con impazienza l’arrivo; si desidera gioiosamente quell’incontro, fosse anche di pochi istanti. Insomma, si ama!

È inutile, allora, fare Natale senza saper amare Chi sta per entrare in noi. Stiamo attenti ai tempi, quelli del calendario: lasciamo da una parte la routine! Prepariamoci, lavando l’anima e riconciliandoci col fratello o la sorella lontani. Attendiamo non soltanto l’abbondanza dei pasti, che sovente sono sprecati, ma attendiamo il Festeggiato. Dobbiamo desiderare di fare una bella festa a Lui! Questo è l’Avvento, ad-ventum, dal latino, avvicinamento alla festa, accostarsi all’Amore.

Dom Vincenzo Bracci O.S.B. Silv.
Priore Conventuale di San Silvestro – Fabriano
Direttore dell’Ufficio Liturgico