1 Maggio Festa del Lavoro: Daniele Dolce, Direttore Pastorale Sociale e del Lavoro

 

Non si capisce perché dovremmo mantenere ancora la festa del 1° maggio a calendario. Cosa c’è da festeggiare? Nulla se ne consideriamo l’origine o se i criteri di giudizio sul lavoro sono quelli che vediamo alla televisione o leggiamo sulla maggioranza dei  giornali.  La crisi del lavoro è devastante. Stiamo assistendo ad un cambiamento epocale, che tocca l’Italia ancor più di altri paesi a causa di un sistema sociale ed economico che ha privilegiato molto alcuni a scapito di altri, in particolare le nuove generazioni. E su questo punto la nostra generazione adulta ha parecchie  responsabilità. Basti pensare per esempio che i nostri giovani che escono dalle università sono nettamente svantaggiati rispetto ai loro coetanei europei perché entrano nel mercato del lavoro di media 3 anni dopo e con un livello di competenze più basso. Disoccupazione  giovanile in Italia fino al 30%, a cui si aggiunge una pari percentuale di lavoratori scoraggiati potenzialmente interessati a trovare lavoro ma che non ci provano neppure. Una delle cause più importanti di questa situazione è lo stato in cui versa la scuola italiana ed in particolare la progressiva distruzione delle scuole professionali statali considerate erroneamente come scuole di serie B e quindi non valorizzate.  La riforma Monti dovrebbe realmente incentivare il contratto di apprendistato, che è l’unico strumento che a breve può tentare di colmare il divario tra il mondo della scuola ed il mercato del lavoro, considerando il lavoro stesso come valore formativo. Sul versante dell’offerta del lavoro infatti sono almeno mezzo milione i posti di lavoro che restano scoperti in Italia per mancanza di qualificazione, come emerge da un analisi accurata di Pietro Ichino apparsa questo mese sul Corriere della Sera. Per incisio, almeno 300 gli annunci di lavoro ad aprile tra Marche ed Umbria. Occorrerebbe un serio lavoro di aiuto a far incontrare domanda ed offerta di lavoro. Oggi solo le agenzie private di outplacement ( cioè di ricollocazione delle persone) operano  in questo settore efficacemente ma costano care, sempre meno però della cassa integrazione “ a perdere”. Anche in questo ambito si potrebbe fare molto. Tutto questo malessere ha radici profonde, precedenti  l’istituzione della festività del 1° maggio. Con l’Illuminismo ed  il Positivismo, l’uomo si è posto al centro del mondo. Con il suo Tecnicismo pensa ancora di poterlo dominare. Lo Stato, usando un eufemismo, si è preso e si prede cura delle persone con un eccesso di Assistenzialismo.  L’uomo ne esce così “ridotto”. Questa riduzione è evidente nel lavoro, che è considerato ancora oggi come un “modo di produzione”,  “una prestazione inevitabile”, un destino di schiavitù, oppure come un giusto diritto che sfocia in pretesa o come un dovere moralistico. 

Il lavoro invece è un bisogno dell’uomo  che nasce dal suo cuore irriducibile pieno di desiderio, senza limite, che lo spinge sempre oltre a costruire ed a cambiare la società. Che coscienza abbiamo di noi quando lavoriamo? Il lavoro è un’energia che cambia le cose secondo un disegno, il disegno di Dio. Noi collaboriamo alla sua opera con tutto quello che siamo, con tutti i fattori della nostra personalità: temperamento, capacità e competenze, nel luogo in cui siamo, insieme agli alti in comunità. Che libertà possiamo sperimentare!  Con questa coscienza e posizione cristiana, partendo dal bisogno, l’io in azione crea occupazione e cerca lavoro. Si tratta si riscoprire l’Ideale che ha mosso i monaci e San Benedetto nella costruzione dell’Europa. Ma anche oggi ci sono esempi di imprenditori che accolgono ed aiutano lavoratori disoccupati ad inserirsi e ne escono essi stessi arricchiti. Giovani che abbandonano la scuola e che poi trovando un volto amico che li prende sul serio imparano un mestiere ed alcuni ritornano perfino sui banchi di scuola. Anche nella nostra realtà fabrianese ci sono segnali di risveglio in questo senso. Ripartiamo da qui. Aziende che cominciano a conoscere la realtà produttiva al di fuori del territorio e a farsi conoscere. Il “Made in Fabriano”, come già il Matching ed Expandere della Compagnia delle Opere ne sono un esempio. Molte realtà si sono coinvolte recentemente. Si inizia a collaborare e si sviluppa l’imprenditorialità. Le tante opere di carità e di accoglienza, promosse e sostenute della nostra diocesi, sostengono chi domanda un aiuto. Ecco delle buone ragioni per festeggiare il 1° maggio, riscoprendo il senso del lavoro. Allora ci sarà più libertà sul posto di lavoro per chi lavora e più certezze per chi il lavoro non lo ha ancora. 

Daniele Dolce

Direttore Pastorale Sociale e del Lavoro