In questa Santa Messa Crismale, voi fratelli e sorelle consacrati, e fedeli tutti, soprattutto giovani in ricerca, guardate più attentamente e profondamente il vescovo e i sacerdoti. E ci giudicate: siamo preti bravi e meno bravi, così a volte qualcuno dice; amici e fratelli tra noi nel presbiterio attorno al vescovo, così dovremmo essere tutti noi.
Questo vostro sguardo intenso di questa sera è molto importante. Ci guardate per come dovremmo essere con voi e per voi. E quindi questa sera ci aiutate molto di più di quando ci “utilizzate” nel ministero.
Questa sera ci guardate nel mistero di Cristo, come Lui ci ha scelti e come noi abbiamo risposto e promesso. Fra poco ci sentirete ripetere nel rinnovamento delle promesse sacerdotali: “Sì, lo voglio”. Normalmente ci vedete come ministri dei sacramenti, ora ci vedete umanamente, con le nostre fragilità e con la nostra libera promessa al Signore e alla Chiesa.
Fratelli miei sacerdoti! Ecco come ora siamo guardati dalla nostra gente. Ecco come Gesù un giorno ci ha guardato e chiamato, come era accaduto agli Apostoli. Ecco come eravamo all’origine, quel giorno della nostra ordinazione sacerdotale: e chi non lo ricorda con grande commozione! Ed allora ecco la mia domanda: il tempo ci ha resi migliori o peggiori? Facciamoci aiutare a rispondere.
Ascoltando la Parola di Dio di questa Messa Crismale abbiamo sentito e visto come deve essere la vocazione di chi è chiamato.
La vocazione di Isaia e la vocazione di Gesù sono descritte nelle tre letture. Come è bella e promettente questa vocazione di Isaia, che diventa quella di Gesù, presentata a Nazaret, “dove era cresciuto” e che in questi anni è diventata la nostra vocazione sacerdotale!
L’unzione profetica è il segno della presenza di Dio nel suo inviato: in me, in te, sacerdote, che siamo chiamati a portare liberazione e pace, comunione e unità. Quando mi soffermo su questa nostra missione mi vengono i brividi e mi sorge l’entusiasmo che mi fa andare oltre i miei limiti. Siamo chiamati a vivere e portare la gioia di Gesù, la comunione che è Gesù, l’unità che è il Corpo di Cristo, la sua Chiesa. E’ proprio bello che ogni volta che diciamo il canone secondo nella messa invochiamo lo Spirito “ut congregemur in unum”. E’ il mio motto episcopale consegnatomi personalmente da Don Giussani. Quando qualcuno dice che non c’è unità tra noi, mi ribello, perché l’unità c’è sempre, ci è data dallo Spirito; a noi spetta la fatica di riconoscerla e viverla. Quanto vi ammiro quando, nonostante i possibili contrasti, ci si abbraccia. L’altro non ci è mai nemico, perché è sempre Gesù per noi.
La comunione ci conviene, perché è Gesù che ci dona tutto. Tutto ciò che facciamo nasce da lì. Chi va per conto proprio è perso, chi si affida alle proprie qualità e a quel che sa fare non ha futuro come sacerdote. Siamo chiamati non all’attivismo, ma a dare la vita e la comunione che viene da Gesù. Sentite cosa scriveva il grande teologo von Balthasar: “la Chiesa post-conciliare ha largamente perso il suo volto mistico; è una Chiesa dei dialoghi permanenti, delle organizzazioni, delle consulte, dei congressi, dei sinodi, delle commissioni, delle accademie, dei partiti, dei gruppi di pressione, delle funzioni, delle strutture e delle ristrutturazioni, degli esperimenti sociologici, delle statistiche: più che mai una Chiesa di uomini, una entità asessuale” (Punti fermi, p. 128).
E’ facile cadere nell’attivismo e farne il nostro piedistallo per un nostro piccolo e meschino potere. E’ difficile portare Gesù e la Chiesa in ciò che facciamo, senza farne una nostra proprietà, una propria isola. Per questo c’è l’aiuto dell’obbedienza e del confronto verso il vescovo e verso la comunione presbiterale, riecheggiando l’atteggiamento di Gesù a Getsemani: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”(Mt 26,39).
Il pericolo del prete è il personalismo, che è l’ostinazione sulle proprie attività e sui propri progetti, senza farsi correggere e senza essere in comunione.
Questo pericolo ne genera un altro ancora peggiore, il veleno della gelosia, cioè il calcolo e il paragone maligno tra coloro che si impegnano.
Ma, da questi mali si può guarire. La guarigione viene sempre da Gesù dentro l’alveo in cui ci ha messo, dentro la comunione ecclesiale. Il presbiterio è sempre l’ovile per il sacerdote smarrito. E’ la fiducia in Dio che si manifesta nella fiducia verso il vescovo e i confratelli. Siamo qui, come in tutti i nostri incontri presbiterali, non per sopportare il solito ritrovarsi con “l’occhio abituato” (Clemente Rebora), ma per cambiare, per essere corretti, per un nuovo futuro. Ogni incontro presbiterale sia un desiderio e una gioia.Mi auguro che ognuno ora dica: questa omelia è per me! Ed io rispondo: sì, è per te!
Ora, vorrei ritornare a voi diaconi, seminaristi, persone consacrate e fedeli tutti: la vita è sempre in salita, ma sentirci dire da Gesù “vieni” è essere sicuri della meta e del bel orizzonte. La vocazione non è tua. E’ di Cristo: “io ho scelto voi”.
Per essere liberi nella vita occorre dire “sì” a chi ci invita alla libertà. E Pasqua è tempo di decisioni.
Che la nostra disponibilità e il nostro impegno con la vocazione si traduca in domanda, in preghiera; preghiera accorata, appassionata e regolata nella giornata, soprattutto in questi giorni santi della passione, morte e risurrezione di Gesù. Siano giorni di preghiera totale.
Grazie, Gesù, perché mi hai dato questa vocazione, grazie perché mi hai posto in questo presbiterio che amo appassionatamente, e ammiro, e da cui imparo; grazie per avermi dato questa Chiesa particolare che è veramente bella, unita e creativa, dono per tutto il nostro territorio e per tutta la realtà culturale, sociale e politica.
La Madonna ci faccia maturare e purificare la nostra vocazione. Ognuno ha una vocazione: da domandare, da scoprire e da vivere con coraggio.
La benedizione degli Oli che stiamo per compiere è per la consacrazione della nostra vocazione: attraverso una piccola realtà, l’olio con il profumo, nei sacramenti Gesù cambia, converte, rinnova tutta la persona umana e tutta la realtà, chiamandoci alla vocazione più alta, che è stare con Lui e donarlo a tutti.
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+ Giancarlo Vecerrica