Dott.ssa Simona Borello: “Spunti e provocazioni per comunicare con i ragazzi”

Il primo ringraziamento è per coloro che hanno già sopportato la prima relazione e che ora stoicamente hanno deciso di continuare questo momento insieme.
Sono stata contenta anche del secondo invito di don Tonino perché mi ha permesso di riprendere i contatti con l’ambiente catechistico che è qualche tempo che non frequento più, visto che le mie attività ecclesiali mi portano più spesso a contatto con i movimenti culturali oppure con i religiosi e le religiose.


La premessa obbligatoria per questo secondo tempo è che il “cantiere” nel quale dobbiamo operare è ancora più difficoltoso di quello del quale ci siamo occupati sinora, come del resto ben conoscete.
Oggi non vi dirò come si costruiscono i muri, in questo cantiere.
Ma spero di riuscire a darvi elementi per conoscere le caratteristiche del terreno su cui sorge il cantiere e gli strumenti più adatti da usare in questo ambiente.


1. Verso un’antropologia tecnologica.
La mia formazione (e la mia vita personale) mi impediscono di guardare all’antropologia senza metterla in stretta relazione con i mezzi di comunicazione.
Per arrivare al tema di oggi vorrei proporvi una sorta di passeggiata nel campo dei media, in compagnia di alcuni “classici” della letteratura sull’argomento (alcuni classici al punto da risultare oggi datati in alcuni aspetti, ma penso che possa essere ancora utile far riferimento ad essi sia perché hanno già dimostrato la debolezza o la parzialità di alcune considerazioni, sia perché anche i testi più recenti non sono meno parziali visto che spesso si limitano a rincorrere la rapida evoluzione mediatica).
Il primo compagno di strada è Apocalittici e integrati, divenuto ben presto un facile slogan che ha offuscato l’accurata analisi di Umberto Eco. Tra le idee presenti nel testo, si delineavano due figure di uomo: “l’apocalittico”, colui che ritiene l’introduzione di una nuova tecnologia di comunicazione un vero e proprio danno, e “l’integrato”, che vede in essa solamente dei benefici. Sono posizioni che vediamo (e assumiamo) spesso nei dibattiti. Si tratta di due approcci che potremmo quasi dire fondamentalistici, assoluti, accumunati dalla stessa fascinazione che rallenta la capacità di reazione portando a un blocco negazionista o un’adesione indiscriminata. Due posizioni sterili, anticritiche, antistoriche, incapaci di analizzare strutturalmente e formalmente il sistema mediatico: sposano un’idea di fondo precisa.
Eppure… che cos’è una tecnologia?
Mi pare feconda una massima di Neil Postman: «ogni tecnologia è al tempo stesso un danno e una benedizione; non è l’una cosa o l’altra, è l’una cosa e l’altra» (in Technopoly, La resa della cultura alla tecnologia, 1993). Si tratta di un approccio più profondo, con il quale cercheremo di guardare la realtà.
Una battuta dice: «la tecnologia è quella cosa che non c’era quando sei nato» e rivoluziona la vita: genera anche confusione, estraniamento, paura, ma anche studio, curiosità, entusiasmo.
Val la pena di considerare che non tutti attraversano questo straniamento: c’è chi è nato dopo la rivoluzione – è un “nativo digitale”, come dice un autore – e, a differenza dei “migranti” è dentro al cambiamento e forse non riesce neanche a capacitarsi che sia esistito qualcosa di diverso.