Carissimi sorelle e fratelli,
anche quest’anno, ci accingiamo a celebrare la Pasqua di Risurrezione del Signore Gesù quasi in punta di piedi, senza i segni evidenti della festa a causa di questo prolungato momento di difficoltà che tenta di spegnere nel cuore la speranza di un giorno nuovo, “il primo giorno della settimana.” (cf. Mc16,1-8).
Il mattino di Pasqua ‒ leggiamo nel Vangelo ‒ alcune donne si recano al sepolcro per ungere di oli profumati il corpo morto di Gesù, con il cuore ferito dal dolore e una grande concreta preoccupazione: “Chi ci rotolerà via la pietra dal sepolcro?” (cf. Mc16, 3).
L’incedere delle donne di buon mattino ricorda il cammino della salvezza. Sembra che tutto vada a infrangersi contro una pietra: la bellezza della creazione contro l’orrore del peccato; la liberazione dalla schiavitù contro il tradimento all’Alleanza; le promesse dei profeti contro il triste disinteresse del popolo. Così, pure nella storia di ciascuno di noi, sembra che i passi compiuti non giungano mai a destinazione. L’emergenza del Coronavirus ha messo e sta mettendo a dura prova la nostra vita e tutti avvertiamo un senso di smarrimento, di sfiducia e di paura che toglie le prospettive, prosciuga le speranze e appesantisce anche le cose più semplici. Delusi, stanchi, increduli, rischiamo di non avere più la voglia di rimetterci in piedi, di continuare a camminare.
Tuttavia, l’atteggiamento delle “mirofore” del Vangelo – quelle donne, cioè, che portano unguenti profumati per la sepoltura – è fonte di fiducia per noi perché di fronte ai dubbi, alla sofferenza, ai turbamenti della situazione che attraversano, esse sono capaci di mettersi in movimento e di non lasciarsi paralizzare dal dramma che stanno vivendo. Con l’urgenza di chi ama, esse sono capaci di accettare la vita così come viene senza evadere, né ignorare quello che sta accadendo, senza fuggire né scappare ma, semplicemente, restando.
Ecco io, in quella loro tenacia a non cedere alla rassegnazione della piega che hanno preso gli eventi, vedo già i primi scintillii di luce della Risurrezione che consiste, fondamentalmente, nel vedere più lontano del qui e ora, in quell’orizzonte del già e non ancora che rende la nostra vita affidabile, degna e vivibile; perché sa che il vero problema non è la morte, ma di come io scelgo di stare difronte ad essa.
È vero che quello a cui abbiamo assistito e continuiamo ad osservare in questo tremendo anno di pandemia è esattamente riconducibile al dramma che hanno vissuto i discepoli con la Passione di Gesù. Eppure, come le prime discepole, in mezzo all’oscurità e allo sconforto, riempirono la loro borsa di oli aromatici e si misero in cammino per andare a ungere il Maestro sepolto (cf. Mc 16, 1), così noi abbiamo potuto vedere molti fratelli che hanno cercato di portare l’unzione della solidarietà per risanare e confortare la vita altrui, mostrando nella via della fraternità, l’unico volto di un futuro possibile.
La Pasqua inizia così: bisogna andare a vedere quel luogo di morte, bisogna cercare Gesù. Non si può fuggire davanti alla sofferenza e alle ferite dei poveri. Bisogna essere come i medici, gli infermieri e il personale sanitario, le forze di sicurezza e i volontari, i sacerdoti, le religiose, gli educatori e gli insegnanti e tanti altri che hanno avuto il coraggio di offrire tutto ciò che avevano per dare un po’ di cura e sollievo a chi si trova nel sepolcro della malattia.
Anche se la domanda continua a essere la stessa – «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?» – tutti loro non hanno mai smesso di fare ciò che sentivano di dover fare. Ed è proprio in mezzo alle loro occupazioni e preoccupazioni, che anche loro sono sorpresi da un annuncio straordinario: «Non è qui. È risorto».
È risorto quando la ferita mortale della nostra società – l’individualismo – viene medicata con scelte di altruismo per il bene comune. Infatti, seppur si è trovata una medicina o un vaccino per il coronavirus, l’individualismo ha bisogno di ben altri rimedi. Ha bisogno di comunità parrocchiali che tornino ad essere luoghi di fraternità e non dispenser di sacramenti. Ha bisogno di scuole che educhino anche oltre le mura scolastiche. Ha bisogno di una società civile che deve ritrovare il suo centro oltre gli interessi economici e di parte, e che sappia dare attenzione agli ultimi, a chi non ha lavoro, a chi è in difficoltà, a chi ha perso tutto.
Sì, il Signore è il risorto, è il vivente e va cercato non nei segni di morte, ma dentro i segni di bellezza, nei gesti di pace, negli abbracci rassicuranti, nel primo respiro di un neonato, nell’ultimo alito del morente, nella tenerezza con cui si ha cura dell’altro.
L’esperienza delle donne che si recano al sepolcro la mattina di Pasqua ci ricorda che, nonostante tutto, non c’è altro da fare che provare ad alzarsi. Non occorre sapere già in anticipo esattamente quale sarà la direzione del cammino: ciò che importa è non rimanere a terra, ma alzare lo sguardo per poter osservare “che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande”. (Mc 16,4)
A Pasqua, il Signore ci chiama ad alzarci, a risorgere sulla sua Parola, a guardare in alto e credere che siamo fatti per il Cielo, non per la terra. Dio ci chiede di guardare la vita come la guarda Lui che vede sempre in ciascuno di noi un nucleo insopprimibile di bellezza. Nel peccato, vede figli da risollevare; nella morte, fratelli da risuscitare; nella desolazione, cuori da consolare. Non temiamo, dunque: il Signore ama questa vita anche quando abbiamo paura di guardarla e prenderla in mano. Non rimaniamo a guardare per terra impauriti, guardiamo a Gesù risorto: il suo sguardo ci infonde speranza, perché ci dice che siamo sempre amati e che, nonostante tutto quello che possiamo fare, il suo amore verso di noi non cambia. Questa è la certezza non negoziabile della vita: il suo amore è immutabile perché Gesù si è alzato dal sepolcro affinché potessimo farlo anche noi e, grazie a Lui, poter risorgere dalle nostre macerie abbandonando la posizione dei morti per assumere quella da risorti.
Álzati, dunque, dalle tue paure,
álzati dai pensieri che ti stanno piegando,
álzati dalla delusione.
Solo così sperimenterai che la vita può sempre ricominciare.
Cari sorelle e fratelli, questo mio personale augurio, vorrei tanto che invece di raggiungervi con le consuete formule di circostanza, vi arrivasse con la mia stretta di mano e un sorriso cordiale senza parole. La notizia della Risurrezione di Gesù, entrando nelle corsie degli ospedali, nelle camere dei malati, nelle case di famiglie unite o separate e nella vita di coloro che si trovano in qualsiasi forma di sofferenza, difficoltà o fatica, vorrei portasse un barlume di speranza. Vorrei che il mio saluto vi raggiungesse senza la pretesa di risolvere i vostri drammi, ma con l’umiltà di chi, pur non potendo operare miracoli, comunque vi sta accanto, cammina con voi e si fa vostro compagno di viaggio per le strade polverose di questa quotidiana esistenza.
A tutti voi, il mio augurio di buona Pasqua del Signore e nostra!
Il vostro arcivescovo, +Francesco Massara