Il Papa dice no alle pensioni d’oro, e rilancia un “nuovo patto sociale per il lavoro”, affinché i giovani trovino un’occupazione. Francesco ha ricevuto in Vaticano i delegati della Cisl, che da oggi a sabato sono riuniti a congresso, guidati dal segretario generale Anna Maria Furlan. Alessandro Guarasci:
Il Papa mette l’accento sulla centralità del lavoro. Francesco afferma che “è una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti”.
Ne fanno le spese i giovani, circa il 40% di loro non ha un lavoro:
“Quando i giovani sono fuori dal mondo del lavoro, alle imprese mancano energia, entusiasmo, innovazione, gioia di vivere, che sono preziosi beni comuni che rendono migliore la vita economica e la pubblica felicità”.
Poi una critica alle pensioni d’oro:
“E quando non sempre e non a tutti è riconosciuto il diritto a una giusta pensione – giusta perché né troppo povera né troppo ricca: le “pensioni d’oro” sono un’offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni”.
Il mondo del lavoro è in rapida trasformazione, ecco perché bisogna rivedere gli schemi:
“È allora urgente un nuovo patto sociale per il lavoro, che riduca le ore di lavoro di chi è nell’ultima stagione lavorativa, per creare lavoro per i giovani che hanno il diritto-dovere di lavorare. Il dono del lavoro è il primo dono dei padri e delle madri ai figli e alle figlie, è il primo patrimonio di una società. È la prima dote con cui li aiutiamo a spiccare il loro volo libero della vita adulta”.
Francesco, poi, di fronte alla Cisl, mette in guardia dalle malattie che possono colpire il sindacato: “Nelle nostre società capitalistiche avanzate il sindacato rischia di smarrire questa sua natura profetica, e diventare troppo simile alle istituzioni e ai poteri che invece dovrebbe criticare. Il sindacato col passare del tempo ha finito per somigliare troppo alla politica, o meglio, ai partiti politici, al loro linguaggio, al loro stile. E invece, se manca questa tipica e diversa dimensione, anche l’azione dentro le imprese perde forza ed efficacia”.
E questo perché l’economia deve essere sempre e solo al servizio dell’uomo: “Diciamo economia sociale di mercato, come ci ha insegnato San Giovanni Paolo II: economia sociale di mercato. L’economia ha dimenticato la natura sociale che ha come vocazione, la natura sociale dell’impresa, della vita, dei legami e dei patti”.