Omelia del Vescovo per il suo 50° del sacerdozio

Omelia del Vescovo nella Solennità di Pentecoste
Domenica, 24 maggio 2015

 

  1. Mi sono lasciato condurre dalla gioia dello Spirito! Sono qui per ringraziare immensamente l’opera dello Spirito Santo su di me e a gustare insieme a voi l’amore che mi ha donato. Vorrei poter dire come San Paolo: “Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana” (1 Cor 15,10)! Cesare Pavese, dopo aver ottenuto un premio letterario, scrisse:“Hai anche ottenuto il dono della fecondità. Sei signore di te, del tuo destino. Sei celebre come chi non cerca d’esserlo. Eppure tutto ciò finirà. Questa tua profonda gioia, questa ardente sazietà, è fatta di cose che non hai calcolato. Ti è data. Chi. Chi, chi ringraziare? Chi bestemmiare il giorno che tutto svanirà?”. Io, per grazia, so chi ringraziare per sempre. 
    Niente è stato mio e tutto è diventato mio. Ripensando alla mia adolescenza, nel momento della massima miseria del dopo guerra, non sapevo che pensare del mio futuro, ma i genitori hanno educato noi quattro figli, che ora siamo qui, alla semplicità nel lasciarci condurre dalla fede. Mi sono fatto guidare da coloro di cui mi fidavo. La bellezza della missione, alla quale mi sentivo condurre, all’inizio non la percepivo più di tanto, l’ho scoperta andando avanti. La bellezza della vita, che è Gesù, è all’inizio; ma, come per i primi apostoli, è solo come promessa, c’è da accoglierla e continuare ad abbracciarla. Chi ero? Come sono stato? Come sono ora? Come tutti: un cuore che batte, che cerca, che non si accontenta. La mia irrequietezza è stata presa dallo Spirito e io mi sono lasciato prendere. Il protagonista non sono io, ma è lo Spirito.
  2. Mi sono lasciato condurre dello Spirito! Così ho scoperto l’opera di Gesù, indicata dal Vangelo di oggi: “Quando verrà lo Spirito vi guiderà a tutta la verità”, cioè vi darà tutto. Ecco l’invito: lasciarsi prendere e condurre dallo Spirito, perché è Gesù che mi ha scelto, e non io. Allora la parola da riscoprire è proprio questa: “appartenere”, cioè affidarsi, perché – dice San Paolo –“Egli viene in aiuto alla nostra debolezza” (Rm 8,26). “Ma – scrive Papa Francesco – tale fiducia generosa deve alimentarsi e perciò dobbiamo invocare lo Spirito Santo costantemente. Egli può guarirci da tutto ciò che ci debilita nell’impegno missionario. È vero che questa fiducia nell’invisibile può procurarci una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove non sappiamo che cosa incontreremo. Io stesso l’ho sperimentato tante volte. Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!” (Evangelii Gaudium 280).
    Aperta questa strada di totale affidamento allo Spirito, pur ferito dai miei peccati, le due mani offertemi da Cristo mi hanno sempre ripreso: la mano della Madonna, il principio mariano e la mano della Chiesa, il principio petrino.
    La Madonna: perché ho avuto la grazia di vivere sempre attaccato ai suoi santuari e sotto la sua protezione, ha guidato sempre i miei passi, fino ai passi gioiosi del pellegrinaggio a piedi Macerata – Loreto. Mi sono lasciato riempire da questa Misura gigantesca di questa Donna “benedetta fra tutte”, di questa viandante vittoriosa dell’umano cammino, “ut gigas ad currendam viam”. Mi ha insegnato l’amore vero. L’amore che è tradotto dalla parola “fiat”: aderisco a te, Signore! La mia volontà è la tua. Accetto te in me. Il mio io sei tu. Fiat, la parola dell’amore nuovo! Un prete brilla perché fa la volontà di un Altro. Un prete precipita quando segue se stesso, le sue idee e le sue misure. Quanto ammiro certi miei preti così umili, così obbedienti da immedesimarsi con la Chiesa, con il vescovo e il presbiterio. La meraviglia di questi preti si può vedere. La tristezza invece di chi segue se stesso fa perdere.
    Questo principio mariano, che mi ha reso sempre aperto alla misura di un Altro, mi ha fatto aggrappare alla mano della Chiesa, vivendo appassionatamente il principio petrino. La grazia di essere legato ad ognuno dei miei Papi mi ha suscitato questa devozione assoluta al Papa, che è la mano sicura e stabile del “dolce Cristo in terra” (S. Caterina). L’ultimo incontro con il Papa è stato lunedì scorso: una straordinaria commozione!
    Il mio grande padre e maestro Don Giussani mi ha accompagnato su questa strada dei due principi fondamentali dell’opera dello Spirito. I capolavori viventi dello Spirito sono: la Madonna e il Papa. Un prete devoto di queste due Persone non si perderà mai: occorre sempre coinvolgersi con un’ esperienza viva di fede.
  3. Da ultimo, consapevole e gioioso perché lo Spirito Santo di questa Pentecoste mi ha preso totalmente, mi ha legato indissolubilmente a Gesù nel sacerdozio e tenuto per mano dalla Madonna e dal Papa, vorrei rispondere a questa domanda: quali sono i risultati, i frutti? Non le mie opere, non i miei pensieri e non le mie prerogative, ma i frutti dello Spirito, che sono stati descritti da San Paolo nella seconda lettura. Eccoli: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. Come vorrei viverli tutti in pienezza! Un parroco, Padre Douglas di Mosul, rapito, legato e bendato, gli hanno spaccato il naso e rotto i denti a colpi di martello; è sopravvissuto, “ma – dice – siamo cristiani e desidero non portare mai odio, ma amore e sarò dove sarà la mia gente”.
    Che bello poter essere un prete così: pieno di amore, gioia, magnanimità, benevolenza, mitezza! L’ho desiderato, voluto, sempre per me e per i miei preti. E’ il miracolo della Pentecoste, che chiedo per me e per voi. Gli Atti degli Apostoli ci hanno raccontato di come la gente era stupita perché ciascuno sentiva parlare gli Apostoli nella propria lingua. Chi obbedisce allo Spirito, cioè alla Madonna e alla Chiesa, sa parlare a tutti, sa vivere tutte le relazioni: non chi parla solo la sua lingua come era accaduto a Babele, ma chi si fa capire da tutti, vuole bene a tutti.
    Da questi frutti di bontà, accolti dallo Spirito e da questa capacità di parlare la lingua di tutti, si arriva a tutte le periferie, anche ai più poveri, ai più peccatori, ai più antipatici, anche ai propri nemici.
    Mi piace, a conclusione, ridire le mie preferenze, dopo il mio amore appassionato ai sacerdoti: i giovani, che sono le vittime di tutte le povertà e della dittatura del pensiero unico, e poi i lavoratori, che mi stanno molto a cuore. Questi sono i nuovi poveri di oggi. Ad essi e per essi tutto il mio sacerdozio e attraverso essi il mio amore a tutti, perché, dice Don Primo Mazzolari: “dare tutto: ecco la carità. Chi non dà tutto non è nella carità”. Come nel 1958, a 18 anni, offrii la mia vita alla Madonna per la guarigione di papa Pio XII, così ora qui la offro di nuovo alla Madonna per voi mio popolo, sacerdoti e laici. Sono per voi, per sempre, dovunque sarò. E voi datemi il dono di nuovi seminaristi e il dono di volerci sempre bene tra noi, senza mai divisioni, perché “amor vincit semper”.  E, ricordiamoci, chi ama arriva sempre prima! 

Grazie, amici tutti! Così potremo tutti esclamare, come sarà detto nel prefazio di oggi: “oh, stagione beata della Chiesa sempre nascente”!

+ Giancarlo Vecerrica