Una vita nuova, non un moralismo
Se ci chiediamo perché Cristo è venuto sulla terra, perché è morto e risorto per noi, dopo un primo attimo, forse, di imbarazzo ci ricorderemo, dal catechismo, che Cristo è venuto per redimere gli uomini. Ma cosa vuol dire redimere? Redimere qualcuno, nel mondo romano, significava comprare uno schiavo e poi ridargli la libertà. Perciò redimere è uguale a liberare. Se volessimo usare un termine oggi in voga diremmo allora: Cristo è venuto per portarci la liberazione. Ma anche liberazione oggi rischia di suonare astratta o forse è troppo facile pensare di averla già capita. Proviamo ad interrogare il Vangelo per vedere con quali termini Cristo definiva ciò che era venuto a fare. Cristo diceva: «Sono venuto perché abbiano la vita»; «chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù»; «Io sono la via, la verità, la vita». E S. Pietro per tutti i discepoli affermava: «Signore da chi andremo, Tu solo hai parole di vita eterna». Eterno non sta a significare un meccanico durare del tempo, bensì la pienezza generata dalla verità che non cessa, che non viene meno. Cristo concepiva la sua missione nel mondo come il portare una vita piena e vera; era venuto perché gli uomini potessero vivere la vita secondo tutte le sue dimensioni in una stabilità che sfidava il tempo e ciò che rende il tempo drammatico, cioè la morte. Cristo era venuto per rendere umano l’uomo (e per questo lo rende figlio di Dio). La vita nuova e piena che Cristo era venuto a portare iniziava dalla Sua presenza e la gente la viveva ancora prima di capire che cosa fosse. Tutto il Vangelo dice questo: gli apostoli lo seguivano perché era una persona straordinaria e irresistibile, la gente perché guarita dalle malattie e dalle deformità, gli intellettuali come Natanaele che non riuscivano a capire come poteva succedere, ma non potevano non riconoscere questa affascinante pienezza. Ci sono allora due conseguenze che vanno contro una mentalità che forse è diffusa, ma che non corrisponde affatto alla tradizione cristiana autentica. La prima: il cristianesimo deve portare una vita più piena, più umana, più vera già nell’al di qua. Questa vita continua anche dopo la morte: ma ciò non toglie nulla al fatto che essa debba viversi e toccarsi già adesso. Anzi proprio perché già adesso inizia e si vede si ha la certezza della sua continuità nell’eterno. La seconda: una vita nuova non viene fuori dall’osservanza di date regole. In altri termini lo scopo ultimo del cristianesimo non è far osservare regole morali anche se questo ne è conseguenza. Ma tra il dire che è giusto osservarle e pensare che da esse nasca una vita diversa ce ne corre. Ora una vita nuova dà a uno la forza di osservare una legge, ma una legge non dà la vita. Forse è proprio per questo che oggi i cristiani sono uguali se non peggio degli altri; prima hanno ridotto il cristianesimo a una legge da osservare; e poi non hanno osservato neanche quella. Hanno evitato la vita.
Don Vincenzo Bracci OSB
Monaco – Parroco