Cattedrale gremita, quella di San Venanzio, mercoledì 7 settembre, per l’arrivo del Cardinale Camillo Ruini, che ha presieduto la Santa Messa nell’ambito delle celebrazioni del XXV Congresso Eucaristico Diocesano Nazionale. Il Cardinale, durante l’omelia, ha affrontato il tema centrale della giornata, Eucaristia e Lavoro, partendo dalle letture del Vangelo per arrivare a riflettere, poi, sui disagi del nostro tempo: “Il discorso che Gesù fa ai Giudei dopo la moltiplicazione dei pani viene definito discorso del pane della vita. Rappresenta un anticipo di quello che accadrà dopo. L’ultima cena non solo spiega il senso della Croce, ma trasforma l’evento, la realtà: l’orribile delitto si tramuta in un supremo atto d’amore. Nelle braccia aperte di Gesù sulla Croce vi è racchiusa la solidarietà di Dio con noi. Da questo dono nasce una forza capace di trasformare il mondo, la resurrezione. Col suo tornare alla pienezza della vita noi risorgiamo nella vita eterna. Dal Cristo morto viene il dono dello spirito, della fede. Tutto questo passa attraverso di noi e la nostra libertà. Chi non crede, però, non ha in sé il senso della vita”. Ecco allora il tema della fede come salvezza per l’uomo: “Il titolo di questo Convegno Nazionale Signore da chi andremo contiene un significato profondo. Sono le parole di Pietro, che lanciano un messaggio preciso: la scelta della fede deve essere rinnovata di generazione in generazione. Ognuno prenda su di sé questa libertà, con coraggio e audacia. Gesù ci chiede di credere in lui. Opera dentro di noi e ci attira verso il Padre. La fede è legata, inoltre, alla preghiera. Questa ci rende testimoni della cristianità. Così vissuta l’Eucaristia può cambiare la nostra vita. La lettura del profeta Elia, che arriva a sterminare tutti coloro che negano Dio, racchiude in sé un presentimento dell’Eucaristia: fuggito dalla Regina d’Israele, che lo minacciava di vendicarsi del massacro compiuto, Elia, una volta solo, chiede al Signore di lasciarlo andare per sempre. Proprio in quel momento riceve un pezzo di pane ed una brocca d’acqua. Mangiando riesce ad acquistare le forze necessarie per mettersi in salvo”. Spazio poi per una riflessione sul delicato tema del lavoro: “Occorre trovare qualcosa dentro di noi che ci aiuti ad affrontare i disagi della vita quotidiana. Per questo porgo al Signore tre richieste. La prima: non permetterci di perdere fiducia in Te. Facciamo crescere, invece, la nostra solidarietà e la nostra fede, sentendoci tutti fratelli e figli dello stesso Padre. La seconda: aiutaci sempre a comprendere il significato della Croce e della Resurrezione, come parabola della vicenda umana. Uniti con Te e rinnovati nello Spirito. La terza: fa che le nostre virtù cristiane siano sempre più forti, come il sacrificio, la responsabilità e la solidarietà. Tutto questo ci permetterà di costruire un frutto nuovo e positivo per il futuro”.
Elisabetta Monti
“Togliere il lavoro all’uomo significa togliere la possibilità di contribuire al completamento della creazione divina”. Con queste parole il Professore Stefano Zamagni , Docente ordinario di Economia Politica presso l’Università di Bologna e Presidente dell’Agenzia per il terzo settore, ha introdotto la sua relazione: “Eucaristia nel tempo dell’uomo: il lavoro”, tema centrale della giornata (mercoledì 7 settembre) svoltasi a Fabriano, presso il Teatro Gentile, nell’ambito del XXV Congresso Eucaristico Diocesano. Presenti il Legato Pontificio Card. Giovanni Battista Re, Mons. Giancarlo Bregantini, Presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, Mons. Giuseppe Merisi, Presidente della Caritas italiana e Mons. Edoardo Menichelli. Dopo la lectio divina di Don Andrea Andreozzi, i saluti del nostro Vescovo Mons. Don Giancarlo Vecerrica, è stata la volta del Professor Zamagni. L’intervento, mediato da Don Angelo Casile, è partito dalla dottrina sociale della Chiesa, da Benedetto Da Norcia fino ad arrivare ai giorni nostri: “L’insegnamento rivoluzionario Ora et Labora è stato fondamentale, perché lavoro e preghiera sono stati messi sullo stesso piano. Il lavoro deve essere luogo di felicità e di carità”. Tre le sfide lanciate da Zamagni per il futuro: “La prima riguarda l’inclusione, non l’esclusione. Questa contrapposizione ha radici lontane. Significa, in un certo senso, ritornare al modello cattolico della civitas romana, che accoglieva tutti, in contrapposizione a quello della polis, basato sull’esclusione dei meno efficienti, delle donne e degli schiavi. L’economia, oggi, deve essere civile, dando a tutti, la possibilità di contribuire al processo lavorativo. Un mercato pluralista che non faccia affidamento, per coloro che sono ritenuti “improduttivi”, solo sul welfare, sui sussidi e contributi, ma che li aiuti, invece, ad avere una vera occupazione. Accogliere, non emarginare. Questo è il messaggio cristiano. L’idea di pluralizzazione deve coinvolgere anche tutte quella associazioni no profit, di volontariato, cooperative che operano sul sociale. Dato che l’imprenditore è colui che produce valore aggiunto, anche queste attività meritano di essere considerate imprese a tutti gli effetti. Per far questo è necessario, però, il cambiamento del nostro codice civile. Nel mondo del no profit, circa il 70% proviene dal mondo cattolico. Un dato questo che non può certo lasciarci indifferenti. La seconda sfida è la seguente: Il lavoro decente. Una persona è umiliata quando si sente irrilevante. Un peccato grave per la teologia cristiana. Tutti devono avere diritto ad un lavoro decente. Tutti meritano di provare la bellezza di contribuire alla creazione del Signore. Terza sfida riguarda, infine, il rapporto lavoro e famiglia. A maggio 2012, a Milano, si svolgerà il raduno mondiale delle famiglie con il seguente tema: Famiglia: lavoro e festa. Occorre necessariamente realizzare una politica di conciliazione tra il lavoro e la famiglia. Negli ultimi anni, purtroppo, le leggi si sono rivelate tutte contro la famiglia. La recente normativa dell’Ue afferma, appunto, che la famiglia stessa deve adattarsi al nuovo mondo del lavoro. Questo non è accettabile. L’armonia e l’equilibrio tra questi due mondi è il messaggio che, invece, la Chiesa vuole lanciare per far si che sia possibile un cambiamento in questo senso.” Puntare con forza al futuro. Questo l’insegnamento finale: “E’ importante che l’uomo modifichi il suo sguardo verso la realtà. Quello che sembra impossibile può diventare possibile. La speranza, come disse Sant’Agostino, possiede due figli. Uno è lo sdegno, l’altro è il coraggio. Occorrono queste due virtù per guardare verso il futuro con ottimismo e determinazione”.
Elisabetta Monti
Testimonianza di un operaio di Fabriano
Buongiorno a tutti e grazie per l’opportunità che mi avete dato nel poter portare la mia testimonianza di Diacono e di lavoratore operaio al Congresso Eucaristico, proprio nella giornata dedicata ad Eucaristia e lavoro.
Sappiate comprendere la forte emozione che mi porta a leggere questo intervento.
Una emozione legata soprattutto alla preoccupazione di dover parlare di lavoro come Credente in una epoca che nel lavoro sembra non credere più. Una emozione legata al desiderio non semplice di tenere dentro le mie parole quelle delle centinaia e centinaia di persone che in questo territorio sono malvolentieri costrette a smettere di credere nel lavoro come uno dei principali strumenti che dovrebbero aiutare tutti a godere del diritto alla felicità e quindi all’amore, per i quali Nostro Signore ci ha creati.
Sono un operaio in cassa integrazione straordinaria dell’Antonio Merloni di Fabriano e da più di due anni e mezzo vivo insieme a più di 2000 colleghe e colleghi la quotidianità di questo dramma. L’impossibilità di immaginare con una minima certezza il proprio futuro è infatti una delle sofferenze più grandi, forse ancora di più di quella economica che certamente arriva subito dopo.
Ho sempre pensato, insieme alla mia Chiesa, che il lavoro dell’uomo dovesse contribuire al compimento del Creato, alla bellezza, alla felicità degli uomini, insomma a dare un senso, una dignità, una identità al nostro stare al mondo.
Non poter lavorare significa sentirsi fuori da questo meraviglioso Disegno. Questo è forse la parte più profonda del dramma.
Come ti chiami? Che lavoro fai?
Sono le prime due domande che facciamo ad una persona che vogliamo conoscere. Quasi che un “nome di persona” senza un “nome di lavoro” tolga la metà del senso alla dignità di essere riconosciuto da chi mi incontra.
E’ come se senza un lavoro rischiassimo di non poterci descrivere, quindi di non esistere. E una persona che non esiste conta quanto una persona che muore o forse anche meno.
Quanto è importante il lavoro!
Anche Gesù ha costruito la sua esperienza di Dio fatto uomo, lavorando il legno con le mani e, facendolo per la maggior parte della Sua presenza terrena, prima e più dell’Annuncio della Parola, come palestra umana per prepararsi all’Annuncio. Questo dovrà pur significare qualcosa!
Come fare Eucaristia intorno al lavoro? Quale pane spezzare? Di chi è il pane spezzato? Come, dove riconoscere Cristo che lo spezza per tutti?
Sono sincero: intorno alla Mensa Eucaristica del lavoro vedo nelle mani di Gesù le mani di chi non ha più il lavoro.
Di noi adulti che stiamo perdendo il lavoro, che il sapore di quel Pane lo abbiamo almeno assaporato. Ma anche dei nostri figli che fanno fatica ad incontrare il lavoro, spesso costretti a spezzare un Pane prima ancora di averne sentito il profumo e gustata la fragranza che questo può dare alla vita.
Vedo una Mensa Eucaristica del lavoro dove siedono, come accadde a Gesù con i suoi Apostoli il Giovedì Santo, tante persone che sono attente ma che a volte non comprendono a pieno quello che sta accadendo.
Alcuni si preoccupano di quale posto presiedere nello stare vicino a chi vuole lavorare ma non può, senza pensare a come farlo; altri ascoltano ma rimangono in silenzio; altri ancora sembrano proprio tradirti. E umanamente non è affatto semplice comprendere perché spezzare e far morire proprio questo pezzo della nostra vita che è il lavoro.
E’ vero: nei momenti più bui ti sembra di entrare in una Passione senza riuscire a vedere la Pasqua, la Risurrezione.
Ma la Speranza è nascosta proprio lì.
Aiutarci, tutti insieme, a scoprire e portare alla luce quelle tracce di Risurrezione che ci sono nei volti, nelle parole e nelle azioni di chi pur dentro tante contraddizioni siede insieme a noi intono al Banchetto Eucaristico dell’uomo lavoratore.
Se ciascuno spezza un po’ del proprio pane e lo dona, la sofferenza anche di aver perso o di non trovare i lavoro diventa un po’ più lieve e soprattutto non ti senti solo.
Anche se sei spezzato, piegato, in ginocchio, percepisci di stare dentro un Corpo Unico più grande e materno.
E nella mia esperienza ho iniziato in questi anni a toccare con mano che ciò, almeno un po’, è possibile.
Piccoli (o forse grandi?) passi li abbiamo provati già con la nostra Chiesa locale.
Abbiamo pregato e agito insieme mettendo a disposizione la nostra presenza nel dibattito locale e nelle iniziative dei lavoratori; promuovendo la preghiera e la riflessione attraverso la Commissione per la Pastorale del Lavoro; producendo anche qualche primo servizio per orientare chi si trova a perdere il lavoro, come il Centro Sviluppo e Occupazione; vedendo crescere la partecipazione alla Messa della Domenica.
Ed uno dei punti diocesani più incrementati e frequentati è stato ed è la nostra instancabile Caritas. Con il nostro Vescovo Giancarlo che ci ha sempre tenuto per mano in tutto questo: “non possiamo rimanere immobili” aveva detto nel settembre 2008 mentre stavamo entrando nel pieno della crisi. E così ha fatto.
Altre prove di Eucaristia le abbiamo viste anche quando Istituzioni, Organizzazioni Sindacali e Imprenditoriali si sono sedute intorno ad un tavolo e hanno costruito strumenti nuovi che non esistevano per sostenere lavoratori scoperti dagli ammortizzatori sociali.
Anche noi lavoratori in crisi possiamo – anzi dobbiamo – in qualche modo ripensare a come adoperare i nostri talenti senza dover attendere all’infinito che tutto ritorni come era prima. E che a farlo sia a tutti i costi qualcun altro.
E’ necessario pretendere innanzi tutto di essere accompagnati a immaginare e realizzare una pratica e una cultura del lavoro che sappia osare oltre quello che abbiamo fatto sin ora. E che è impensabile possa tornare ad essere tale.
Il diritto al lavoro lo vogliamo veder risorgere, ma sappiamo che tutti dobbiamo mettere a disposizione (quindi saper perdere) qualcosa di nostro, per riavere (quindi guadagnare) qualcosa di nuovo.
Sembra proprio realizzarsi sotto i nostri occhi l’insegnamento evangelico del chicco di grano che muore e della spiga che nasce.
Ma solo se facciamo entrare concretamente l’Eucaristia nella storia feriale dell’uomo che perde il lavoro di cui vive, possiamo essere certi che dopo quella morte si possa rinascere.