Come diocesi abbiamo partecipato in Sardegna alla 48ma settimana sociale della Chiesa Cattolica Italiana dal titolo “Il Lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale”. In altre parole, un lavoro degno, all’altezza del nostro compito, la partecipazione alla creazione dell’opera di Dio. Il senso ultimo ed unico direi per cui vale la pena che la mattina ci alziamo per andare a lavorare. La viva luce delle mattine cagliaritane ed il volo dei fenicotteri rosa intravisto fin dal primo giorno durante i nostri spostamenti dagli alberghi al centro fieristico annunciavano già la novità che avremmo incontrato in carne ed ossa al centro congressi: un popolo, dei volti che desiderano dare il proprio contributo alla società a partire dalla personale esperienza di fede. Nuovo il format del meeting cattolico, con momenti di incontro, di scambio di esperienze e testimonianze imprenditoriali e di cooperative sociali ricche di umanità. Nuovi soprattutto i volti di chi era lì, cosa che ci hanno fatto sentire veramente a casa. Da Cagliari ci portiamo via tre cose.
La prima è la certezza che come Chiesa abbiamo di fronte a noi, ora più che mai, la possibilità di incidere sulla rinascita economica del nostro paese. E quindi una grande responsabilità. Infatti, dimostrato con dati alla mano che la crescita del Pil è direttamente proporzionale alla crescita del capitale umano e che il capitale umano, che serve oggi e in futuro, è costituito in prevalenza da competenze ed attitudini personali quali voglia di fare, relazionalità, scrupolosità, stabilità emotiva, proattività e via dicendo, quindi l’educazione della personalità, noi come Chiesa abbiamo molto da dire e da dare. Gli oratori e le comunità delle associazioni e dei movimenti, fin dai tempi di don Bosco, sono e sono sempre stati di gran lunga i migliori luoghi educativi dove queste attitudini si imparano. Luoghi di passione educativa trasmessa dagli adulti. L’”ideale” torna oggi di moda ed è più importante che mai. In crescita sono oggi le esperienze di mestieri imparati all’ombra dei campanili delle chiese dove la prossimità e l’umanità viene praticata. E’ la salvezza, in un paese dove si fa fatica a far decollare, soprattutto al centro-sud, la formazione professionale, l’apprendistato e perfino l’alternanza scuola-lavoro; un paese come il nostro dove, figlio di un lusso di massa, più del 50% dei ragazzi frequenta i licei; dove solo il 25% si laurea e dove si perdono 250.000 posti di lavoro l’anno perché mancano giovani studenti delle scuole professionali e appunto laureati tecnici.
Il secondo spunto cagliaritano è che in un contesto non più assistenzialista, occorre che si riaccenda tutto il proprio desiderio, per trovare la propria strada lavorativa e mantenersi impiegabili curando la propria formazione durante la vita lavorativa, a patire per esempio dalla digitalizzazione. Più di 2 milioni di giovani italiani tra i 15 ed i 29 anni non studiano, non lavorano e molti di essi non cercano neppure. In Europa sono più di 12 milioni. Il tasso di occupazione dei giovani è del 40%. A 4 anni dal diploma la percentuale di giovani che trovano il lavoro oscilla tra il 51% al nord ed il 36% al sud. Occorre essere molto motivato per mettersi seriamente alla ricerca del lavoro in una logica di autocandidatura mirata, dato che il mercato del lavoro è molto frammentato, costituito in prevalenza da piccole e medie aziende che non espongono in bacheca i posti di lavoro disponibili. Tutto ciò non non si fa da soli. Occorre aprirsi all’altro.
E qui arriviamo al terzo ed ultimo punto. Il fare insieme per sè e per gli altri. Non possiamo prescindere dal bene comune. L’individualismo e l’interesse personale hanno guidato i criteri di scelta economica e finanziaria negli ultimi anni con i risultati disastrosi che ben conosciamo. Invece il Signore, ci ha detto il Papa nel suo messaggio di apertura dei lavori, ci chiama, lavorando, a costruire comunità insieme. Il lavoro del futuro è “partecipativo e solidale”. A Cagliari abbiamo capito e visto che non possiamo muoverci tra frenesia individuale e competizione da un lato o restare inerti e passivi aspettando che arrivi il fine settimana. C’è una grande solitudine non saziata dalla la ricchezza che non può essere condivisa. A cosa serve questo folle lavoro che mi mangia la vita? Per chi e perché lavoro? Nel tempo siamo stati capaci di costruire gerarchie di schiavitù formate da padroni a loro volta schiavi di altri padroni, ci ha detto l’economista Luigino Bruni. Per contro abbiamo assistito al racconto in presenza ed in video di storie di imprenditori che operano da tempo con successo nel rispetto della dignità delle persone e con esempi di uomini e donne rinate grazie al lavoro. A mero titolo di esempio tra le 400 buone pratiche presentate. Cooperative di comunità che sono nate a partire dal bisogno di lavoro delle stesse persone che le formano e che hanno quindi imparato mestieri fondamentali quali il panettiere, l’ortolano ed il macellaio. Persone che aiutano altre persone ad imparare a cercare lavoro. Collaborazioni fruttuose tra piccoli produttori agricoli che facendo sinergie produttive intelligenti e di scambio di mezzi agricoli e di braccia hanno aperto nuovi mercati. Apertura di un mulino a pietra per la produzione di farina pregiata grazie a raccolta di importanti fondi via web. Ragazzi che si sono messi insieme ed hanno aperto una stazione mobile di lavaggio di automobili. Un terzo settore in crescita esponenziale dove la cura delle persone è al centro e dove fioriscono fatti di una umanità commovente. Un accogliente centro di recupero per carcerati che sono aiutati a rientrare nel mondo del lavoro attraverso l’affetto che ricevono e la responsabilizzazione. Molto spesso queste esperienze, accanto a personale professionale sempre più ricercato, occupano esse stesse persone diversamente abili e bisognose. Imprenditori che hanno come primo obbiettivo l’occupazione ed il lavoro buono invece del profitto e fanno di tutto per gestire al meglio la loro impresa, anche aprendo collaborazioni con altri imprenditori.
Infine da Cagliari è partito un grande appello alla politica italiana ed all’Europa perchè si operi per sostenere il lavoro buono attraverso una armonizzazione fiscale, una incentivazione delle aziende virtuose, miglioramento degli appalti pubblici, più fnanziamenti per le piccole e medie aziende, una riduzione della burocrazia che ingessa il sistema, riduzione della disoccupazione attraverso la formazione professionale e ridare dignità agli scartati ed agli esclusi. E’ da qui che dobbiamo e vogliamo, e sottolineo vogliamo, continuare il cammino anche come diocesi di Fabriano-Matelica in unità con le parrocchie, le componenti delle pastorali diocesane, le associazioni, i movimenti, società civile e tutte le persone che desiderano il bene comune per oggi e per il domani dei nostri figli.
di Daniele Dolce ne “L’Azione” del 4 novembre 2017