2017-06-21 Radio Vaticana
Pensiamo “che è più facile essere delinquenti che santi” ma non è così: “essere santi si può perché ci aiuta il Signore”. Così Papa Francesco nella catechesi stamani all’udienza generale in Piazza San Pietro. Il Papa prosegue il ciclo di meditazioni sulla speranza cristiana mettendo in evidenza come i santi siano testimoni e compagni di speranza. Prima della catechesi, nell’Auletta dell’Aula Paolo VI, Francesco ha incontrato una delegazione della National Football League, circa 43 persone, sottolineando che i valori del gioco leale possono aiutare a costruire una “cultura dell’incontro”. Il servizio di Debora Donnini:
Si può essere santi nella vita di tutti i giorni. Essere santi significa fare il proprio dovere tutta la giornata, in famiglia, nella malattia, nel lavoro ma con il cuore aperto a Dio. La catechesi di Papa Francesco all’udienza generale verte sulla sanità. Ai circa 12 mila fedeli presenti in Piazza San Pietro, ricorda che sono proprio i santi a testimoniare che “la vita cristiana non è un ideale irraggiungibile”. I santi hanno infatti conosciuto le “nostre stesse fatiche”. “Il cristianesimo – sottolinea – coltiva una inguaribile fiducia: non crede che le forze negative e disgreganti possano prevalere. L’ultima parola sulla storia dell’uomo non è l’odio, non è la morte, non è la guerra”. Ad assisterci, quindi, nella vita è la mano di Dio e la loro presenza. “Non siamo soli”, assicura più volte Francesco: “la Chiesa è fatta di innumerevoli fratelli, spesso anonimi, che ci hanno preceduto e che per l’azione dello Spirito Santo sono coinvolti nelle vicende di chi ancora vive quaggiù”.
Non a caso l’intercessione dei santi, “la moltitudine di testimoni” di cui parla la Lettera agli Ebrei proclamata prima della catechesi del Papa, viene invocata per la prima volta nel momento del Battesimo e poi nell’ordinazione sacerdotale o nel Sacramento del Matrimonio, per gli sposi: “Chi ama veramente – dice – ha il desiderio e il coraggio di dire ‘per sempre’ – ‘per sempre’ – ma sa di avere bisogno della grazia di Cristo e dell’aiuto dei santi per poter vivere la vita matrimoniale per sempre. Non come alcuni dicono: ‘finché dura l’amore’. No: per sempre! Altrimenti è meglio che non ti sposi. O per sempre o niente”.
“Dio non ci abbandona mai”, ricorda ancora Francesco. E’ vero che siamo “polvere che aspira al cielo”, “deboli” ma potente è il mistero della grazia. Sappiamo e speriamo nella trasfigurazione del mondo dove non ci saranno più “lacrime” e “cattiveria”.
Francesco, quindi, auspica che il Signore “doni a tutti noi la speranza di essere santi”: “Ma qualcuno di voi potrà domandarmi: ‘Padre, si può essere santo nella vita di tutti i giorni?’ Sì, si può. ‘Ma questo significa che dobbiamo pregare tutta la giornata?’ No, significa che tu devi fare il tuo dovere tutta la giornata: pregare, andare al lavoro, custodire i figli. Ma occorre fare tutto con il cuore aperto verso Dio, in modo che il lavoro, anche nella malattia e nella sofferenza, anche nelle difficoltà, sia aperto a Dio. E così – spiega il Papa – si può diventare santi. Che il Signore ci dia la speranza di essere santi. Non pensiamo che è una cosa difficile, che è più facile essere delinquenti che santi! No. Si può essere santi perché ci aiuta il Signore; è Lui che ci aiuta”.
Il desiderio del Papa è che possiamo “diventare immagine di Cristo per questo mondo”, persone “che vivono accettando anche una porzione di sofferenza, perché si fanno carico della fatica degli altri”. La nostra storia ha bisogno di ‘mistici’, persone che rifiutano il dominio e aspirano, invece, alla carità. “Senza questi uomini e donne il mondo non avrebbe speranza”, avverte Francesco che conclude il suo percorso di riflessione su speranza e santità con un augurio: “a voi” e anche “a me”, il Signore “doni la speranza di essere santi”.
Nei saluti ai pellegrini di diverse nazionalità, il Papa torna sulla testimonianza dei santi, che ci incoraggia, aggiunge, “a non avere paura di andare controcorrente”. Infine un pensiero lo rivolge alla Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, venerdì prossimo, giorno in cui la Chiesa sostiene con la preghiera e l’affetto tutti i sacerdoti.
Prima dell’udienza in Piazza, Francesco ha salutato una delegazione della National Football League nell’Auletta dell’Aula Paolo VI. I giovani hanno bisogno di “modelli”, persone che mostrino come “fare emergere il meglio di noi stessi”, sottolinea. E il lavoro di squadra, il gioco leale e il tendere al meglio, sono “valori” anche nel senso religioso del termine. Di questi valori, dice, “c’è urgente bisogno anche fuori dal campo” perché aiutano “a costruire una cultura dell’incontro”: “Quanto ha bisogno il mondo di questa cultura dell’incontro”!
E oggi il Papa ha anche ricevuto un dono da parte di una pittrice armena: si tratta di una tela che raffigura Papa Francesco con una colomba nella mano sinistra, simbolo della pace, e sullo sfondo il Monte Ararat, simbolo degli armeni. Un modo per ringraziare il Papa ad un anno dalla sua visita in Armenia.
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