Nell’articolo precedente abbiamo evidenziato che la democrazia è un valore importante ed il mercato è solo un mezzo compatibile con essa. Abbiamo costatato che il mercato globale richiede regole sovrannazionali applicabili riformando opportunamente l’ONU e l’architettura economico finanziaria internazionale. Abbiamo rilevato che in mancanza di un’azione riequilibratrice, i costi umani diventerebbero presto anche grandi costi economici. Su questo punto c’è convergenza tra scienza economica e valutazione morale. Per questo motivo è conveniente valutare il punto di vista della Chiesa. La dottrina sociale della Chiesa ha sempre sostenuto che la giustizia riguarda tutte le fasi dell’attività economica, perché questa ha sempre a che fare con l’uomo e con le sue esigenze. Il reperimento delle risorse, i finanziamenti, la produzione, il consumo e tutte le altre fasi del ciclo economico hanno ineluttabilmente implicazioni morali. Così ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale. Tutto questo trova conferma anche nelle scienze sociali e nelle tendenze dell’economia contemporanea. Talvolta nei riguardi della globalizzazione si notano atteggiamenti fatalistici, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana. È bene ricordare a questo proposito che la globalizzazione va senz’altro intesa come un processo socio-economico, ma questa non è l’unica sua dimensione. Sotto il processo più visibile c’è la realtà di un’umanità che diviene sempre più interconnessa; essa è costituita da persone e da popoli a cui quel processo deve essere di utilità e di sviluppo, grazie all’assunzione da parte tanto dei singoli quanto della collettività delle rispettive responsabilità. Il superamento dei confini non è solo un fatto materiale, ma anche culturale nelle sue cause e nei suoi effetti. Se si legge deterministicamente la globalizzazione, si perdono i criteri per valutarla ed orientarla. Essa è una realtà uma¬na e può avere a monte vari orientamenti culturali sui quali occorre esercitare il discernimento. La verità della globalizzazione come processo e il suo criterio etico fondamentale sono dati dall’unità della famiglia umana e dal suo sviluppo nel bene. Occorre quindi impegnarsi incessantemente per favorire un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza, del processo di integrazione planetaria. Nonostante alcune sue dimensioni strutturali che non vanno negate ma nemmeno assolutizzate, « la globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno ». Non dobbiamo esserne vittime, ma protagonisti, procedendo con ragio-nevolezza, guidati dalla carità e dalla verità. Nel nostro mondo in crisi costatiamo una grave separazione tra mercato e democrazia. Il mercato, fatto di tanti meccanismi, regola il modo in cui una società produce e distribuisce i beni che servono a soddisfare i bisogni. Il mercato per funzionare, come ogni altra organizzazione ha bisogno di regole. Da secoli gli intellettuali di tutte le scuole di pensiero, sia quelle di marca liberale sia quelle di marca socialdemocratica, avevano sempre concordato che le regole che governano il gioco del mercato devono essere fissate da un processo democratico. Ciò vuol dire che dette regole non può essere il mercato stesso a darsele, devono provenire da un processo democratico di tipo deliberativo. In questi ultimi decenni, invece, si è verificato una sorta di sillogismo aristotelico di questo tipo: il mercato deve essere efficiente, la democrazia non è efficiente perché ha bisogno di tempo per arrivare a prendere decisioni (c’è la maggioranza, l’opposizione, discussioni, dibattiti, ecc.), allora, siccome il mercato è esigente e la democrazia non è efficiente, le regole del mercato devono essere fissate da coloro che operano dentro il mercato. Così, com’è accaduto negli ultimi trent’anni, gli stessi operatori del mercato hanno fissato le regole del loro agire. Da qui ha avu¬to origine la crisi in atto che è esattamente figlia del divorzio tra mercato e democrazia. Non ha senso allora il ritornello delle mancate regole e dei mancati controlli che abbiamo sentito ripetere da un anno e mezzo a questa parte, quando effettivamente in un certo senso la regola era quella del vietato vietare, cioè che non dovevano essere previsti controlli di sorta perché il mercato si autoregola (basti pensare alla deregulation di REGAN o alle scelte della TACHER). Quindi si è diffusa la convinzione che il mercato assume una capacità funzionale, perché si serve di taluni meccanismi, della cosiddetta «mano invisibile», che sistemano da soli le cose. E’ ovvio che se si parte da una credenza di questo tipo, non esistono né regolatori né autorità di controllo. Ma di fatto (e la crisi ce lo dimostra) non è possibile che il gioco del mercato si svolga in una sorta di vuoto normativo, perché le regole devono provenire da un processo democratico. Il Papa, nella Caritas in Veritate, considera la democrazia e non semplicemente la politica, perché non in tutti i paesi la politica è democratica. La separazione tra mercato e democrazia, descritta, ci consente di comprendere i gravi problemi che stiamo vivendo in questa fase storica (caratterizzata da grandi paradossi). La crisi ci evidenzia gli errori del passato e può essere un’ottima occasione per riorganizzare le strutture economiche al fine di includere tutti i cittadini nel processo produttivo in una efficiente economia sociale di mercato.
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