Il 14 dicembre 2011 presso la Scuola di Teologia di Fabriano abbiamo avuto la fortuna di assistere ad un interessante evento promosso dalla Pastorale del Lavoro Diocesana.
Riteniamo opportuno riportare un resoconto dettagliato degli argomenti trattati dal Prof. Sergio Belardinelli, a beneficio degli assenti e per memoria dei numerosi presenti.
“Il mondo del lavoro è un luogo di realizzazione; un luogo di incontro; un luogo per relazionarsi con se stessi e con gli altri per instaurare RAPPORTI UMANI DECENTI ( … al minimo, DECENTI) ; è un luogo in cui si instaurano relazioni costruttive che finiscono per riguardare non solo il singolo, ma anche tutta la società“.
Ecco perché parlando del mondo del lavoro, si deve avere una dimensione ampia e si deve tener conto di tre concetti importanti introdotti dal Santo Padre nella “Caritas in Veritate” al paragrafo 21: realismo; fiducia; speranza.
REALISMO: vuol dire tenere conto della realtà inviolabile di ciascuno e della realtà che ci circonda. Realismo è in stretta relazione con Carità. Non è vero che democrazia e pluralità sono fondate su nessun criterio o nessuna realtà. La realtà è il banco di prova di tutti i nostri discorsi e di tutte le nostre azioni.
FIDUCIA: è qualcosa che si impara o si acquisisce a condizione che vi sia un contesto che ci aiuta, il contesto può essere la famiglia, la scuola, l’ambiente di lavoro, per poi arrivare a quello più ampio che è la società che per definizione è relazione, è il luogo in cui si gioca la dimensione antropologica, l’uomo.
La fiducia è il contrassegno della nostra capacità relazionale nel contesto in cui viviamo.
SPERANZA: deve accompagnare la nostra vita. Siamo venuti al mondo senza che nessuno ce l’abbia chiesto, però siamo chiamati a dire di si. Questa è la drammaticità della nostra esistenza. Non scegliamo di nascere, né di nascere sani o ammalati, né belli o brutti, né tanto meno bianchi o neri. Quello che siamo non sempre lo scegliamo, anzi, ne scegliamo solo una piccola parte. Scegliamo però alcune relazioni, sempre di più a mano a mano che cresciamo. Il lavoro è una delle relazioni che scegliamo.
Il lavoro è strettamente legato all’impresa.
Il grave problema che affligge oggi la nostra realtà è la crisi dell’impresa.
In linea teorica fiducia, speranza e realismo, senso di appartenenza dovrebbero aiutare ad uscirne, ma possono essere davvero preziosi per la vita di un’impresa?
Va fatta una considerazione: il malessere dell’impresa è di tipo antropologico. Abbiamo mai pensato di “far lavorare in proprio” i dipendenti nelle nostre aziende? Abbiamo mai pensato che qualcuno abbia piacere per il lavoro svolto? Bisogna coltivare con gusto il lavoro che uno fa. Anche l’educazione e la formazione professionale devono andare molto più in là dell’imparare un mestiere, quello che non si impara in breve tempo è quello che deve essere parte del processo educativo. Bisogna dare significato a quello che si fa. Quello che si fa lo si può definire una pratica che necessita di tanto tempo e che è frutto dell’esercizio di molte virtù.
Suonare il pianoforte, giocare a calcio, costruire qualcosa, ognuna di queste azioni è una pratica, è il frutto di determinate competenze che devono essere coltivate; ma, non basta. Pratica è competenza, ma è anche valutazione di ciò che è ben fatto e da ciò che non lo è, cioè trattasi di competenza “pesata”. Alla pratica si attribuiscono -valori interni che sono merito, onestà, riconoscimento del sacrificio e -valori esterni che sono successo, denaro, prestigio. Cosa succede se i valori esterni superano i valori interni? Succede che le pratiche si deteriorano, perdono la loro bellezza.
Questo vale anche per il lavoro dove bisognerebbe soprattutto coltivare i valori interni, non perché quelli esterni non contino, ma perché quelli esterni dovrebbero essere un premio per qualcosa in più che è stato fatto bene. Oggi i valori esterni superano quelli interni.
E se proprio da questa incongruenza nascesse il problema dell’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro?
Ai giovani andrebbe detto: noi genitori siamo i principali responsabili della situazione in cui vi trovate e con tutto l’aiuto che possiamo darvi, se non vi rimboccherete le maniche e non vi darete da fare e tanto, non uscirete da questa situazione. Viviamo nella società dei rischi, ma il rischio può essere un’opportunità. E’ una società in cui c’è grande libertà, ma bisogna essere “ATTREZZATI”, bisogna avere un’idea di sé un po’ diversa. E’ un tempo duro, che ha bisogno di gente capace di affrontare la vita per quello che è, ed è molto difficile. Il lavoro è un diritto, ma compatibilmente con la realtà in cui viviamo. Impegnarsi a fondo non vuol dire avere la certezza del successo, ma non ci sono altre strade. I diritti vanno coniugati con quello che propone la realtà.”
Belardinelli ha quindi concluso il suo intervento con un monito, utilizzando le parole del nostro Vescovo Monsignor Vecerrica: “ognuno di noi deve essere protagonista della propria vocazione”.
Ritorneremo sull’argomento per riportare alcuni degli interventi che sono seguiti alla relazione e per approfondire gli argomenti trattati.
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