Il mio tempo all’Azione
Nel 1990, il vescovo Luigi Scuppa mi aveva chiamato più volte per sentire il mio parere sulla successione non facile alla storica direzione de L’Azione di don Pietro Ragni. Poi un pomeriggio non ricordo il mese né tanto meno il giorno mi chiamò d’urgenza per dirmi: “E’ necessario che la direzione la prenda tu per cinque anni. E’ tanto tempo che scrivi sui giornali. Saprai come cavartela”. Accettai. Non ero mai stato dentro al nostro settimanale se non per qualche articolo sporadico, perciò decisi di saltare ogni eventuale problema precedente e di pensare a come dare al giornale lo scossone di novità che mi sembrava necessario. Chiamai un gruppo di amici con i quali per anni avevo lavorato su altri campi (cito soltanto Gianni Spadavecchia, Giancarlo Sagramola, Renato Ciavola, perché la lista sarebbe lunga e rischierei di dimenticare qualcuno) e ci mettemmo all’opera. Prima di tutto la parte tecnica. Il settimanale veniva lavorato tutto nella Tipografia Gentile, con molte pagine stampate ancora con il piombo. Il Vescovo ci concesse di comprare due computer e di sistemarci nel sottoscala dell’episcopio, dove Anna Tozzi e Silvia Cimarra si misero di buzzo buono a imparare programmi di impaginazione. E L’Azione cominciò a uscire con qualche pagina impaginata da noi. Dopo pochi mesi, chiedemmo al vescovo di spostarci in una ambiente della Curia, perché nel sottoscala l’umidità non faceva bene alla salute delle persone e delle macchine. Il Vescovo ci disse a mezza bocca che si sarebbe potuto fare. Un’ora dopo, sentendo del trambusto, venne nelle due stanze della Curia che si affacciano sulla piazzetta della cattedrale e ci trovò già lì. La sua sorpresa fu paragonabile a quella provata nel vedere su uno dei primissimi numeri della nuova gestione, una vignetta di Renato Ciavola in prima pagina. Non fu precisamente entusiasta, ma ci lascò fare. Così come, dopo un paio di anni, ci concesse di trasferirci finalmente in una sede adeguata, preparata appositamente nei locali attigui al chiostro di san Venanzio. A questo punto L’Azione veniva impaginata completamente da noi e portata in dischetto in tipografia. Sotto a questi sommovimenti tecnici ce n’erano tanti di altro tipo. Vado veloce, per cenni. La misura degli articoli. Tutti portavano pezzi lunghissimi, pretendendo che non fosse toccata una virgola. Non mi lasciavo commuovere e sforbiciavo senza pietà. I più resistenti cercavano di scavalcare l’ostacolo passando prima in episcopio: “Il vescovo mi ha detto che mi devi pubblicare senza…”. Sforbiciavo anche di più. Non vi racconto cosa successe quando a pasqua, non mi ricordo di quale anno, mi permisi di tagliare il messaggio del Vescovo perché “sforava” di alcune righe. Problema ancora più impiccioso era passare, almeno un po’, dal bollettino al giornale. Chi portava gli articoli raccontava di sé e delle sue iniziative, perciò tutto era andato al meglio. Ingaggiammo e preparammo giovani inviati che andassero a costatare e a riferire. E di nuovo potete immaginare cosa succede se scrivi che la gita, la sagra, la festa non sono state poi così magnifiche. Ma la polemica non ci spaventava. Anzi… Cercavamo di affrontare tutto nell’incontro di redazione del lunedì: la vera forza della mia gestione, che ci permise di superare le difficoltà che lascia immaginare, e di mantenere mi pare alti la stima, l’interesse, l’attaccamento verso il nostro glorioso settimanale. Quando nel 1995 non ricordo né il mese né il giorno andai da Mons. Scuppa per: “Il mio quinquennio è finito. Come da parola è ora dello stop”, egli mi disse: “E adesso chi ci metto?”. “Guardì risposi non sarà una cosa difficile come l’altra volta. E’ pronto un mio giovane collaboratore”. “Chi?”. “Carlo Cammoranesi”. “Già! Già! Già! Sei libero dall’incarico. Grazie”.
Il mio grazie va a tutti coloro (tanti!) che hanno simpaticamente e anche allegramente vissuto con me il mio tempo a L’Azione.
d. Tonino Lasconi