Relazione del Prof. Andrea Grillo – 61a Settimana Liturgica Nazionale

La prospettiva nella quale vorrei muovermi si può specificare in questo modo, attraverso passaggi – 2 più rapidi e uno più ampio e solenne – che anticipo subito qui in breve e che verranno pienamente in luce lungo il percorso di tutta la mia relazione:

a) L’orizzonte più generale del rapporto tra eucaristia e vita quotidiana deve evitare di
comprendere il “quotidiano” in modo semplicistico. Esso, infatti, ha di bello che da un lato
“si dà” nella sua prevedibile imprevedibilità, ma che dall’altro deve essere sempre di nuovo
“trovato” e “inventato”. La “invenzione” del quotidiano – come ha scritto M. De Certeaux
– , ossia la “continua ri-scoperta” del quotidiano nella sua profondità è, appunto, uno dei
compiti fondamentali della fede, nei quali il sacerdozio (comune e ordinato) esercita un
ruolo decisivo.

b) La caratteristica del sacerdozio che mettiamo sotto la lente è di essere “comune”. Come il termine quotidiano, anche il termine comune è una parola “a rischio”. Dovremmo cercare di
guadagnare qui un significato di “communis” che sia – per così dire – fuori dal comune. E lo
faremo per garantirci una prospettiva davvero convincente sul sacerdozio battesimale.

c) Per realizzare questo scopo generale, la comprensione della “offerta dei corpi come
sacrificio vivente” costituisce il banco di prova di quella particolare caratteristica del
cristiano che chiamiamo “sacerdozio battesimale”. Per farlo cercheremo nella “continuità
con le fonti conciliari del Vaticano II” (in primis SC e soprattutto LG 10 e 11) la via maestra per assicurare alla nostra prospettiva un fondamento autorevole e una garanzia di
comprensione, appunto, comune e quotidiana. E su questo ci fermeremo lungamente, prima
di concludere.